Anna Mammola e Daniele Regini vivono a Massa Martana (PG) Italia, Responsabili della Casa di accoglienza Ain Karim. In questo momento in casa sono in 9, dagli 11 ai 55 anni.
La festa volge al termine, salutiamo tutti e abbracciamo gli amici che per noi hanno curato un pranzo di oltre quattrocento persone. Ci ritroviamo da soli in cucina, con le nostre fedi splendenti e un vortice di emozioni vive nel cuore. Un’occhiata qua e là e i nostri sguardi si incrociano interrogativi: “Che facciamo?”…
Con tanta cura abbiamo cercato di evitare sprechi ed investito perché tutte le stoviglie e ogni accessorio fosse biodegradabile, riutilizzabile o riciclabile. Abbiamo fatto in modo che ogni tavolo fosse provvisto di mestoli di legno costruiti artigianalmente nei mesi precedenti e ovunque abbiamo disseminato cestini per la raccolta differenziata e messaggi sull’attenzione all’ambiente e al creato.
I rifiuti sono tutti mescolati, ciò che avevamo pensato di lavare e riutilizzare è stato gettato…
L’interrogativo si fa sempre più pressante: “Che facciamo? Sono andati via tutti, il messaggio che volevamo dare è stato dato… In fondo è la sera del nostro matrimonio, se buttiamo via tutto non ci vede nessuno..”
A distanza di 10 anni ancora sorridiamo ripensando a quel momento e siamo convinti che lo scatto di coscienza che ci ha portato ad agire quella sera abbia piantato una bandierina sul nostro tragitto e determinato scelte successive nella nostra vita di coppia e di famiglia.
Avendo riconosciuto in noi la chiamata a seguire Gesù nella vocazione specifica della Comunità Papa Giovanni XXIII ancora prima di incontrarci, è stato naturale pensare che la nostra famiglia sarebbe stata aperta all’accoglienza e libera di farsi determinare dai bisogni e dagli eventi.
E così negli anni ci siamo arricchiti di tanti incontri, figli e fratelli tuttora con noi o con cui abbiamo condiviso un pezzo di strada, angeli che abbiamo accompagnato in cielo.
Quando le strade di Dio ci hanno condotto a vivere in Umbria in una casa immersa in una valle di circa trenta ettari di terra, c’è stato un passaggio fondamentale che ha lentamente modificato il nostro stile di vita. Inizialmente, spaventati da tanta abbondanza, abbiamo messo le mani avanti: “Non siamo contadini, non abbiamo mai curato nemmeno un vaso di fiori… e poi dobbiamo pensare ai nostri ragazzi, ai nostri piccoli… non abbiamo sicuramente tempo per occuparci della campagna…”. Era settembre del 2013. Quell’anno la natura ha voluto che i 300 olivi della valle fossero particolarmente generosi, mettendo in discussione le nostre convinzioni e resistenze.
Non pensare di provare ad organizzare la raccolta delle olive strideva con la nostra scelta di vita da poveri e con il grido di giustizia soffocato dai nostri ragionamenti e dalle nostre giustificazioni.
Il sì che abbiamo detto in quei giorni, oltre ad aver rifornito la nostra dispensa e quella di amici e parenti di un olio speciale, ha aperto la strada a molto altro.
Abbiamo iniziato ad attrezzarci per provare a tenere pulito ma rovi ed erbacce erano sempre un passo avanti; ostinarci a contenere la natura era una sfida persa in partenza, dovevamo trovare il modo di collaborare con essa, in un equilibrio diverso. Quei campi erano pascoli perfetti e gli animali non hanno tardato ad arrivare… conigli, polli, capre, pecore, asini, cavalli, vitelli, maiali…
In questi anni i progetti si sono modificati varie volte determinati anche dalle persone che via via venivano a fare famiglia con noi, in un equilibrio dove davvero potesse esserci spazio per tutti e dove ognuno potesse tirare fuori risorse nascoste in grado di rendere piene, belle e dignitose le proprie giornate.
Ciò che è iniziato per senso di responsabilità è continuato e tuttora vive in scelte di cura, attenzione e sostenibilità da cui non possiamo più prescindere.
Tutto ciò si nutre anche di sacrificio che chiede di andare aldilà della voglia o dell’entusiasmo ma che ci edifica nella fedeltà generando vita e ci invita a custodire un equilibrio di molteplici relazioni, tra di noi, con l’altro, con gli animali, con l’ambiente che ci circonda.
Siamo chiamati a guardare ogni progetto con lungimiranza e nel suo divenire ma a costruirlo giorno per giorno nel silenzio degli atti più umili in cui scorgere i frutti che verranno.
“Dobbiamo impegnarci nella creazione della giustizia, ciascuno per la sua piccola parte, in tutte le attività quotidiane”… spesso inciampiamo, non siamo fedeli, scendiamo a compromessi, ma la provocazione di don Oreste ci interpella e ci aiuta a sentirci parte di una realtà più ampia, protagonisti attivi e consapevoli di scelte piccole dalle ricadute globali.
… e il pensiero torna a quella sera d’autunno, a quegli attimi di traballamento, in cui solo l’essere insieme ci ha sostenuti nella coerenza e ha reso leggera quell’ora trascorsa a differenziare, vestiti da sposi, un furgone pieno di spazzatura.
Francesco Pasolini e Cinzia Camillini abitano a San Giovanni in Marignano in provincia di Rimini (Italia), membri di Comunità Papa Giovanni XXIII. Testimoniano la loro esperienza di condivisione diretta a “La Pietra Scartata”, Cooperativa sociale Apg23 sita in Italia.
Che bello essere coinvolti nel famoso “librotto” guida per i campi di condivisione e tesoro di “cose vecchie e nuove” in formato tascabile e giovane!
Ci è stato chiesto di raccontare una storia, la nostra, almeno per un pezzo.., che aiuti voi e noi tutti a diventare sempre più sostenibili, un punto fondamentale del decalogo della nuova “Economia di condivisione”, la quale cerca di tradurre in concreto azioni e pensieri nuovi per “liberare i prigionieri e spezzare il giogo della schiavitù” del nostro tempo.
Ma veniamo a noi… non siamo più 2 ragazzini come quando avevamo tra le mani un librotto simile a questo e partecipavamo ai campi di condivisione estivi.
Siamo sposati dal 1999, abbiamo 4 figli naturali e contribuito a far crescere un “figlio aggiunto”:
“La Pietra Scartata..” un centro socio occupazionale a S. Clemente di Rimini (parte della cooperativa La Fraternità).
Questo progetto (un po’ anomalo per la verità) tiene insieme in un’unica realtà la parte produttiva e commerciale di un’impresa lavorativa e le caratteristiche di un luogo di accoglienza e condivisione dove i più fragili diventano protagonisti di bene e di buono.
Ora anche “questo figlio” sta diventando adulto (è nato nel 1987)… ma questo è il presente e ci arriveremo dopo…
Gli ingredienti principali de La Pietra Scartata dunque sono: accoglienza, condivisione, fraternità, preghiera, pazienza, perdono, come in una famiglia… il tutto però in un contesto di lavoro vero, pensato per rispondere al “grido della terra e dei poveri”, che deve “stare in piedi” ed essere “sostenibile” anche economicamente, insomma il vangelo e il bilancio devono camminare insieme!
Io e Cinzia dunque lavoriamo e viviamo la nostra vocazione (membri APG23) in questo progetto da circa 20 anni, come responsabile commerciale (Cinzia) e coordinatore (Francesco), in risposta ad una ricerca e ad una chiamata: “Vieni e Seguimi”! Ma dove? Perché proprio io? Non ho esperienza? Non ho titoli specifici?
Io Francesco sono cresciuto in una delle prime case famiglie della Comunità Papa Giovanni XXIII (da quando avevo 1 anno, nel 1974), e dopo aver camminato per 12 anni in seminario, ho incontrato Cinzia e un nuovo progetto di vita: il sacramento del matrimonio.
Proprio in uno di questi campi di condivisione a Canazei, Cinzia ha ricevuto la mia telefonata (il 22 giugno del 1996) in cui le dicevo che avevo deciso di incominciare un cammino nuovo insieme a lei!
Sostenibilità penso sia anche essere aperti, disponibili e liberi per poter cambiare prospettiva, strada, lasciare tutto per la “perla preziosa”, fidandoci che “Colui che ci Ama” e chiAma, guida il nostro cammino!
Io Cinzia al tempo del matrimonio lavoravo felicemente in un’agenzia di viaggi a Riccione e avevo conosciuto la Comunità Papa Giovanni XXIII e quello che sarebbe diventato, anni dopo, mio suocero e la sua casa famiglia. Mi parlava spesso della Pietra Scartata e del bisogno di una segretaria, ma io lasciavo sempre cadere l’invito perché mi piaceva proprio il mio lavoro ….finché dopo un po’ di mesi mi ha portato fisicamente a vedere questa realtà. Ho ricevuto un’accoglienza eccezionale, ho ricevuto sorrisi e abbracci da chi in quel momento era al lavoro e, soprattutto ho visto lavorare persone che non avrei mai immaginato potessero farlo….ho incontrato persone che per giustizia “spendevano” la loro professionalità con amore e lì ho capito che nel mio lavoro mi mancava qualcosa…la condivisione! Il giorno successivo mi sono licenziata, perché desideravo fare parte di questo progetto di Bene e di giustizia.
Mentre Cinzia lavorava ancora in agenzia viaggi, io dopo 5 anni come insegnante di religione nelle scuole elementari cominciavo a realizzare che non era quello che dovevo e volevo continuare a fare; cresceva in me il desiderio di sperimentare un lavoro diverso da vivere in fraternità, dove aiutarsi e sostenersi e sperimentare un’economia diversa, (il lavoro al servizio dell’uomo e del creato), ed ecco una nuova chiamata, la proposta de La Pietra Scartata… un progetto che, al contrario di Cinzia, conoscevo già bene e avevo visto nascere e crescere dalla mia casa famiglia, un progetto in cui le fragilità e le difficoltà non erano, e non sono ancora oggi, motivo di esclusione dal mondo del lavoro ma sfida nel dimostrare che “insieme si può fare”, che nessuno mai può essere considerato un inutile scarto, che “l’uomo non è il suo errore” e che ciascuno ha qualcosa di buono da dare.
Nel concreto condividiamo quotidianamente insieme a 25 ragazzi (circa) con disabilità o disagio sociale e 4/5 provenienti da un progetto alternativo al carcere (CEC): tutti sono coinvolti in un vero ciclo produttivo, insieme trasformiamo e commercializziamo prodotti alimentari biologici di alta qualità a marchio “La Madre Terra”. Un lavoro vero a tutti gli effetti che porta sul mercato italiano ed estero circa 180 prodotti a base di frutta e verdura (confetture, succhi, passate di pomodoro, creme vegetali, sughi, cioccolata spalmabile, ecc). I piccoli che realizzano prodotti da grandi!
Questa la sfida e la profezia da ormai 33 anni, che non potrebbe “stare in piedi”… “senza stare in ginocchio”(come ci ricordava don Oreste), per poter imparare ogni giorno a vivere in armonia, in pace con l’uomo e la natura tutta.
Sostenibilità è certamente non lasciare indietro nessuno e stare a fianco di chi fa più fatica per sostenerlo e spronarlo a tirare fuori il meglio!
In questo però, ci ricordava sempre don Oreste, non c’è distinzione tra “chi salva e chi è salvato”, tra “chi accoglie e chi è accolto”, ci si salva insieme!
La scoperta di essere ciascuno un dono unico e prezioso per l’altro genera davvero un’economia di condivisione e di pace che produce frutti inaspettati e crea Sostenibilità stabile e duratura, guarisce in profondità le ferite del cuore e ricostruisce dignità e giustizia perché rimuove alla radice le cause del conflitto, del rifiuto, del profitto egoistico che sono i principi della società attuale.
“Rimuovere le cause” dell’ingiustizia: questa è la grande profezia (sempre più attuale) a cui siamo chiamati, è la “chiave” per realizzare “cieli nuovi e terra nuova” e la “società del gratuito” (come la definiva sempre d. Oreste).
Se riconosco che è ingiusto scartare delle persone dal mondo economico e produttivo, perché non sufficienti, non “sostenibili” secondo il criterio della massimizzazione del profitto, devo rimuovere le cause di questa ingiustizia: cambiare pensiero e costruire una nuova cultura fondata su nuovi presupposti (il lavoro è un diritto di ogni uomo ed è uno strumento per il benessere di ogni uomo e della società, non il contrario: l’uomo schiavo del lavoro!).
“La Madre Terra”, il marchio dei nostri prodotti, oggi è riconosciuto come un marchio di eccellenza, per la qualità degli stessi, per la serietà di chi li produce e per il valore aggiunto che realizza mettendo al primo posto la cura di ogni persona (a partire dalle più deboli) e dell’ambiente. Prendono vita quindi prodotti artigianali e gustosi, che vengono realizzati puntando sulla qualità delle materie prime, su un rapporto di fiducia e giusto con i tanti piccoli produttori coinvolti e con i clienti finali, i quali, scegliendo i nostri prodotti, “votano” e contribuiscono a realizzare un’economia “sostenibile” a misura d’uomo e rispettosa dell’ambiente. La scelta del biologico già nel 1987 quando ancora non era conosciuto né di moda, è una naturale conseguenza: se desideri prenderti cura dell’uomo (a partire dal più fragile) non puoi non avere cura dell’ambiente in cui vive e con cui è in relazione profonda. Ogni forma di violenza e inquinamento deriva da un inquinamento di valori, che inevitabilmente porteranno ferite e conflitto.
Sostenibilità allora è promuovere un processo alimentare sano, pulito, nutrizionalmente ricco e adeguato, frutto di piccole economie locali piuttosto di un sistema alimentare monopolio delle grandi multinazionali che impoverisce, inquina e ammala (la terra, l’aria, l’acqua e l’uomo) producendo enormi scarti e “schiavi”(persone dipendenti dal supermercato per sfamarsi).
Abbiamo “barattato”, per un presunto benessere, le capacità e conoscenze fondamentali per la nostra autosufficienza: saper “prenderci cura” delle nostre famiglie producendo cibo e cure, valorizzando al meglio i doni che Dio ha dato ad ognuno per poter vivere in armonia.
Non ci sono 2 crisi distinte, ci ricorda Papa Francesco nell’enciclica “Laudato si”, ma una sola crisi sociale e ambientale, a cui rispondere in modo urgente, risoluto, con una visione ampia, panoramica che ci permetta di cogliere le connessioni di fondo dei singoli problemi: Tutto è connesso!
Tutti noi siamo connessi (non solo tecnologicamente e virtualmente), siamo di fatto parte dell’unico sistema ecologico per natura. San Paolo diceva “siamo un unico corpo”, Don Oreste ci ricordava che “se un membro soffre tutto il corpo soffre… e le parti più deboli sono le più necessarie, di cui dobbiamo preoccuparci”.
E’ dunque sostenibile tutto quello che rispetta la natura e l’identità delle cose facendo unità, (comunione), è sostenibile chi si accosta alla vita non con l’arroganza dell’apprendista stregone ma con l’umiltà del pellegrino che cerca i segni del passaggio di Dio!
Se ti abbiamo incuriosito, vieni a trovarci, sarà bello “sostenerci” a vicenda! Inoltre come ha fatto Gesù: “Vieni e vedi!” Si impara dall’esperienza, dalla vita, il resto sono nozioni che non ci cambiano il cuore!
E’ davvero il tempo di fare un “mondo nuovo”, dai ci stai?
Puoi conoscerci intanto virtualmente visitando il sito
Un abbraccio!
Francesco Pasolini
Cinzia Camillini
Silvia De Munari, 33 anni originaria di Bolzano Vicentino, Vicenza è dal 2013 volontaria di Operazione Colomba, Corpo Nonviolento di Pace di Apg23, in Colombia dove svolge attività di accompagnamento protettivo internazionale a difensori/e dei Diritti Umani.
“Dio vide che era cosa buona” (Gen. 1,25)
Abitare la Terra, una Casa che ci è stata donata e che siamo tenuti a donare ai nostri figli e a chi verrà dopo di loro.
La Comunità di Pace di San Josè de Apartadò è un piccolo gruppo di contadini e contadine costituitosi nel 1997 nel nord della Colombia. Nel mezzo del conflitto armato che stava insanguinando le loro terre, hanno scelto, eroicamente, di iniziare un processo di resistenza nonviolenta rifiutando qualsiasi collaborazione diretta o indiretta con la guerra. Per quale motivo un gruppo di contadini e contadine avrebbe dovuto mettere a rischio la propria vita? Perché non prende parte a quel fenomeno chiamato desplazamiento forzado (sfollamento forzato) che ha visto più di 7 milioni di colombiani e colombiane lasciare la propria terra per rifugiarsi nelle grandi città?
La Terra. Come Casa. E’ per questa Terra che da più di 23 anni queste persone lottano, ogni giorno.
Sono giunta in Colombia come volontaria di Operazione Colomba, Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, circa 6 anni fa. Mi suscita sempre grande emozione ogni qualvolta mi chiedono di scrivere o raccontare la loro storia. La straordinarietà della loro resistenza sta nel fatto di non conoscere odio e rabbia contro coloro che hanno messo fine alla vita di più di 300 contadini e contadine della stessa Comunità di Pace. Ma al contrario, hanno fatto di questa sofferenza, speranza per il presente. Li vedo ogni giorno con il loro grande sorriso, carichi di strumenti, camminare per difendere un territorio ambìto da chi vuole farne, dell’estrazione mineraria, ricchezza per pochi e povertà per molti. Difendere le risorse d’acqua che alimentano la vita, difendere gli alberi che portano frutto, difendere il campo che ti porta riso, fagioli, mais, yucca. Un dono prezioso da custodire. Dono tuttavia segnato dal peccato di tanti esseri umani.
Dalla cupidigia di voler possedere e sfruttare. Il Creato è divenuto luogo di scontri. E di morte per chi prova a difenderlo. Ma loro non si sono arresi. Sono lì, in piedi, a gettare i semi per il raccolto prossimo. Sono lì, in piedi, davanti alla “nostra” casa che è casa loro, che è a casa di tutti, aspettando un “tintico” (caffè) sempre con quel sorriso e con quella gioia che contamina anche noi, così deboli e fragili se paragonati a loro.
Ho capito cos’è davvero la felicità quando in un giorno di raccolto, fieri della quantità di fagioli conseguiti, uno dei giovani contadini, Bladimir, ne prende una manciata, incrocia le dita, apre le mani davanti a me e col suo modo allegro di sempre esclama: “questa è la nostra resistenza. Avremo fagioli per tutto l’anno”. Felicità. Prende poi la chitarra e inizia a cantare una delle sue ultime composizioni: “NO CONSEGUIRA’ DE MI EL SILENCIO, SIEMPRE GRITARE’ MI SENTIMIENTO. NO RENUNCIARE’ A SEGUIR SEMBRANDO. LA SEMILLA YO SEGUIRE’ PLANTANDO. […] NO TODO EN LA VIDA ES LA GRAN INDUSTRIA. SOLO EL BOSQUE CALMARA’ MIEDO Y ANGUSTIA”.
Fermarsi a contemplare la bellezza di ciò che ci circonda. Quante volte durante il nostro lavoro di scorta civile nonviolenta* abbiamo non solo camminato al loro fianco ma anche sostato al loro fianco e ammirato assieme quanto è meraviglioso ciò che ci circonda. Col sudore che bagnava la pelle, con il sole che batteva forte sopra di noi o con la pioggia scrosciante e il fango fino alle ginocchia. Con la stanchezza di tante ore di cammino, con la paura per ciò che potrà succedere domani, non solo alla vita di questi contadini e contadine, ma anche alla bellezza della selva colombiana. Col coraggio di chi è consapevole che sta affrontando una macchina mortale. Con la forza dell’essere comunità. Io, al loro fianco, ho provato, nonostante tutto, il sapore della felicità.
Silvia De Munari, Volontaria Operazione Colomba
*Operazione Colomba dal 2009 svolge un lavoro di protezione internazionale a difensori/e dei Diritti Umani impegnati nella costruzione della pace in Colombia come è il caso della Comunidad de Paz de San Josè de Apartadò e al proseguimento della loro esperienza di resistenza nonviolenta al conflitto e allo sfollamento forzato.
La vita comincia a 40 anni, si diceva qualche tempo fa; ora, in maniera più Smart, si dice persino “50 is the new 20”. E così, a 50 anni, mi è stato chiesto di contribuire a dare vita alla prima scuola elementare e media della Comunità Papa Giovanni XXIII. È una storia che viene da lontano, sia la mia, sia quella della “scuola del gratuito”, dalla metà degli anni Novanta.
Allora mia moglie ed io iniziammo l’esperienza della condivisione diretta di vita, e quindi della gratuità, dapprima con esperienze di volontariato, poi aprendo la nostra famiglia all’accoglienza non solo dei nostri figli, ma anche di bambini e adulti in difficoltà. Il nostro percorso ci ha portati a dare vita al “Villaggio della gioia”, realtà pensata per aiutare famiglie in difficoltà e soprattutto per impedire l’allontanamento dei bambini dai loro genitori, preservando il nucleo familiare anche in presenza di problemi relazionali, economici, sociali.
Il “Villaggio della gioia” è uno dei mondi vitali nuovi di cui parlava don Oreste Benzi come luoghi di incarnazione della “società del gratuito”: era sempre la metà degli anni Novanta quando propose questa nuova visione dei rapporti umani, improntati alla centralità della persona ed alla relazione di gratuità e non al profitto ed alla sopraffazione.
Fra gli elementi centrali di questa nuova società dovevano essere la pedagogia e la scuola del gratuito,
dove ogni persona, guardata nella globalità dei suoi aspetti costitutivi, fisici, psicologici
e spirituali, potesse essere accolta e valorizzata nella propria originalità: una scuola in cui sia la Gratuità ad educare e non il profitto.
In 25 anni, varie sono state le esperienze nella scuola, sia statale sia paritaria, che hanno incarnato questa idea, cercando di modificare il sentire comune e tradizionale. Dal 2017 lo si fa anche a Forlì, nella scuola “Don Oreste Benzi”, gestita dalla Comunità Papa Giovanni XXIII. Un primo evidente cambiamento è dato dal superamento del voto. Il voto è un tentativo di misurare, ma che cosa? Il rendimento in una singola prova? la complessità di un percorso personale che per ognuno ha punti di partenza, difficoltà e facilità diverse? Inoltre non c’è il rischio che lo studio venga finalizzato al voto più che alla conoscenza delle cose? Se sono bravo prendo un bel voto e i miei genitori sono contenti poi se dimentico subito quello che avevo imparato non è così grave… Certamente siamo stati tutti abituati ad una scuola in cui il voto era essenziale, ma molto esperienze in paesi europei ed in altri contesti portano a dire che non è questo il cuore dell’insegnamento. Una scuola senza voto è quindi quella che mette al centro il bambino e il ragazzo con le sue capacità e le sue propensioni, è una scuola che non rinuncia alla valutazione, che viene fornita con dei rimandi, dei giudizi in cui l’insegnante spiega di volta in volta al ragazzo quali sono i punti di forza e i punti di debolezza del suo lavoro e del suo apprendimento. Questa valutazione, che è valorizzazione, trova un’applicazione particolare al momento della consegna delle pagelle: non più una serie di numeri per la singola materia, ma una lettera che i docenti, insieme, scrivono ad ogni alunno, una lettera che è momento scritto di un colloquio, di una relazione che dura per l’intero anno o per l’intero ciclo scolastico.
E proprio nella relazione sta il cuore di questa proposta educativa, che non è un metodo, ma uno stile di vita da acquisire piano piano e progressivamente, soprattutto da parte degli adulti che, in vario modo, “fanno la scuola”. Uno stile di vita nonviolento, collaborativo, cooperativo, che trova nei vari metodi di insegnamento la modalità per attuarsi e che a loro dà forma. Il gratuito è quindi il nucleo essenziale, come attesta l’etimologia della parola che riporta al cuore, luogo delle emozioni profonde ma anche delle scelte, del coraggio. Crescere nel progetto della gratuità così intesa e coinvolgere in esso i docenti, le famiglie e tutti coloro che collaborano alla vita della scuola è il cammino davanti a noi, ricordando che Gesù nel vangelo esorta: Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.
Pensare alla Società ed alla pedagogia del gratuito ricorda le parabole di Gesù sul regno di Dio: il grano viene seminato e lentamente e “gratuitamente” cresce, dove trova un suolo fertile. A noi il compito di preparare il terreno, di seminare e di vegliare.
Testimonianza di Luca Russo e Laura Chiappa – Responsabili Casa famiglia Fuori le mura, Palazzo di Assisi (in provincia di Perugia), Italia
– Luca Russo nato il 27 gennaio 1970 a Foggia Laurea in giurisprudenza Figura genitoriale della casa famiglia fuori le mura di Assisi
– Laura Chiappa nata il 9 agosto 1974 a Chiaravalle, Ancona. Laurea in assistente sociale figura genitoriale della casa-famiglia fuori le mura di Assisi.
In casa famiglia siamo 13, Due figli biologici, una bimba con microcefalia congenita adottata e tre minori in affidamento. Un adulto che viene dal carcere, due adulti con disabilità grave, i miei genitori, due ragazze di circa 22 anni accolte in casa famiglia fin dall’età di un anno.
Salve a tutti siamo Luca e Laura sposi in questa terra di Assisi. Siamo sposi da 20 anni e viviamo nella casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII.
Vi volevamo raccontare come una famiglia vive il suo rapporto con il creato.
Quando Dio ha cominciato a creare… il primo giorno, il secondo giorno della creazione, alla fine di ogni giornata Dio guardava quello che aveva creato, lo guardava con meraviglia, con stupore e pensava e diceva che era una cosa bellissima, una meraviglia appunto. Quindi lo stesso Dio riconosceva che quello che aveva creato era come se fosse stato più bello di come lui lo aveva immaginato. Dio ha provato stupore per tutto ciò che era creazione.
Anche noi come sposi partecipiamo a questo dono di stupirci di fronte alla creazione perchè gli sposi sono dei procreatori, sono chiamati infatti a procreare. Procreare significa che gli sposi creano per conto di Dio, è come se Dio avesse dato agli sposi, al maschio e alla femmina che si uniscono nel matrimonio, il potere, la grazia e il dono di creare così come lui ha potuto creare, di poter partecipare alla sua stessa opera creatrice. Quindi la famiglia proprio per natura partecipa completamente a questo compito della creazione di Dio e quindi non può non creare. E infatti la famiglia, così come Dio il giorno in cui creava gli animali che strisciavano sulla terra o quelli che volavano nel cielo, il firmamento con le stelle e la luna, si è stupito di fronte all’opera delle sue mani, la creazione, anche gli sposi quando generano, quando creano, di fronte alla loro creatura dicono -“questa è una meraviglia ai nostri occhi”-.
Anche loro apprendono l’alfabeto dello stupore e della meraviglia, così come glielo ha insegnato Dio perché partecipano all’opera della creazione di Dio!
Ai nostri figli ci è sempre piaciuto insegnare quanto è importante stupirsi, meravigliarsi e godere appieno delle cose che ci circondano. Avevamo l’abitudine di ascoltare tutto ciò che ci stava intorno, dalle cose più piccole a quelle più intense, più significative. Perché è importante non dare nulla per scontato, anche le piccole cose vanno considerate e valorizzate. A volte li abbiamo invitati a chiudere gli occhi e a fare un elenco, per esempio, di tutti i rumori che sentivano, perchè magari apparentemente sembrava che c’era silenzio e invece eravamo fuori e si sentivano tanti, tanti rumori come ad esempio il cinguettio degli uccelli, il soffio del vento più o meno leggero, il fruscio dei rami e delle foglie e alla fine venivano fuori tante cose per cui stupirsi e quindi da valorizzare e da pronunciare con meraviglia. In questi anni ci siamo resi conto però che c’erano delle creature di fronte alle quali nessuno aveva provato stupore. Abbiamo adottato tra gli altri figli Agnese, una bimba con una microcefalia congenita, adesso ha 7 anni ma è stata abbandonata alla nascita. Quando lei è nata nessuno si è stupito, nessuno ha detto “questa è una meraviglia“, era una bimba con un handicap, una malattia, un difetto genetico ed era considerata quasi un errore di fabbricazione.
Allora abbiamo capito che noi come sposi e soprattutto come casa famiglia, avevamo il compito di stupirci di fronte a quelle creature che venivano dal mondo della tratta, della prostituzione, di fronte ai bambini abbandonati che venivano da storie di abuso e di violenza, a persone disabili, di fronte agli anziani, di fronte ai bambini abortiti nel seno della mamma, di fronte alle persone che venivano dal mondo del carcere, di fronte a tutti loro abbiamo detto-“questa è una meraviglia”-, ci siamo stupiti perché abbiamo riconosciuto una bellezza nel cuore di quelle persone, di quelle creature che altri non hanno saputo vedere. Perchè gli sposi e la famiglia vedono con lo stesso sguardo di Dio che riesce a guardare la bellezza lì dove magari altri vedono solo un errore di fabbrica.
La nostra casa famiglia ha avuto questa bellissima funzione, ma non solo la nostra. Tutte le case famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII hanno lo scopo di stupirsi, di lanciare un urlo di bellezza di fronte a quei bambini e a quelle storie tragiche di abbandono che però sono una meraviglia ai nostri occhi. E allora alla fine vogliamo dirvi che ognuno di voi è chiamato a stupirsi di quello che guarda, quando guarda un tramonto, l’alba, la pioggia, la neve, il vento. Perché tutto quello che ci circonda è tutta meraviglia, è tutta grazia. E non solo! Quando guardate delle storie abbruttite dal dolore e dalla violenza potete stupirvi, potete dire che c’è una meraviglia in quelle persone.
E quando guardate voi stessi, anche se avete dei difetti, se avete dei problemi, dei limiti, -e chi non ne ha? tutti ne abbiamo- quando vi guardate dentro o allo specchio anche voi avete il compito, perchè ve lo ha dato Dio, di stupirvi e di dire che siete delle creature meravigliose e che come creature partecipate alla meravigliosa bellezza che Dio ci ha dato, che è tutto quello che ci circonda, ma è soprattutto l’uomo, la creatura che lui ha amato al di sopra di ogni cosa.
Testimonianza Pierpaolo e Andrea Walter.
Pierpaolo Flesia (48) e Andrea (40), sposi da 20 anni. Pierpaolo è diacono permanente e lavora come maestro in una scuola elementare. Andrea è moglie, mamma e cura il grande parco e gli animali che avete visto nel video.
Insieme hanno una casafamiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII nei Paesi Bassi dal 2008.
Salve a tutti siamo Pierpaolo e Andrea. Con le nostre figlie viviamo nei Paesi Bassi in Olanda dal 2008 e oggi vogliamo portarvi a conoscere la nostra casa.
Siamo nella campagna immersi nel verde. Insieme al nostro cane Bella siamo contenti di portarvi a conoscere la nostra casa perché pensiamo che sia parte di un progetto bello e interessante dal punto di vista educativo. Prima di tutto per noi, per la nostra famiglia, ma anche per tutte le persone che vivono qui con noi o che ci vengono a trovare.
Abbiamo la fortuna, il dono di vivere in questo posto molto bello che ci ricorda quanto il Signore sia generoso a donare alle nostre vite tanta bellezza.
La bellezza va custodita con scelte specifiche di cura del creato; per questo abbiamo installato alcuni mesi fa dei pannelli solari, un’associazione ce li ha donati. L’Olanda come tutto il centro e nord Europa è molto attenta all’ecologia, all’ambiente, al riciclo. Quindi sta investendo tanto nei pannelli solari, nella produzione dell’energia eolica, grazie al fatto che c’è molto vento in Olanda soprattutto ad ovest, nella parte del mare.
Qui con noi vivono diverse persone adulte che cercano di ricostruire la propria vita avendone smarrito il senso, per scelte sbagliate o per condizioni di vita indipendenti dalla loro volontà.
La nostra casa e il terreno circostante di giorno diventano un centro diurno non solo per i fratelli che vivono con noi ma anche per tanti altri fratelli che ci raggiungono e che non hanno bisogno di un posto dove vivere, ma solo bisogno di amici che li accompagnino, che vogliano loro bene, che possano offrire loro un luogo dove fare delle attività. Tutti abbiamo bisogno di contatto umano, di amicizia, di amore, di un luogo dove sentirci accolti, scelti, non solo fisicamente ma nel cuore.
Vi racconto la storia dei nostri asini Lucky e Wannes. Lucky è il più giovane ed è arrivato per primo. Lucky era da solo quando è arrivato ed era un po’ triste. Ci siamo guardati in giro e abbiamo trovato una fattoria che accoglie asini abbandonati e li dá in affidamento. Tra i tanti asini della fattoria ve ne era uno che soffriva, era timido e si isolava, non mangiava, era triste. Abbiamo capito subito che era quello giusto per noi e per Lucky. Così siamo diventati genitori affidatari anche di Wannes! Lo abbiamo portato qui ed in Lucky ha trovato un fratello con cui giocare e litigare anche.
Abbiamo scoperto così che anche gli asini hanno bisogno di qualcuno che faccia loro compagnia, hanno bisogno di qualcuno con cui crescere, qualcuno che li ami.
La nostra casa offre molti spazi all’aperto, oltre al prato dove vivono Lucky e Wannes, vi è una parte boschiva, due laghi ed un piccolo orto. Nel nostro giardino, vi dicevo, vengono anche persone da fuori. Collaboriamo con associazioni che sostengono persone che vivono in strada e offrono a queste persone delle attività lavorative retribuite. Una di queste attività è la manutenzione, la cura del nostro giardino e del bosco, così ogni tanto vengono a lavorare squadre di uomini che sono per lo più uomini soli, con fragilità diverse, seguiti dai servizi sociali. Nel nostro bosco c’è legna in abbondanza perchè ci sono tanti alberi così importanti per l’ambiente, per l’ossigeno, ma quando cadono giù naturalmente tagliamo la legna e la utilizziamo per scaldarci. Presto speriamo di avere anche un forno per la pizza per dare maggiore spazio alla socializzazione, alla convivialità di cui in questi paesi così freddi c’è tanto bisogno.
La bellezza del nostro terreno di cui parlavamo sopra è data anche dal fatto che il nostro terreno non è recintato e quindi spesso troviamo animali alla sera o al mattino presto che girano intorno alla nostra casa; si possono incontrare conigli, cerbiatti, volpi, scoiattoli e tanti uccelli. Nei nostri laghi dove normalmente ci sono solo piccoli pesciolini è facile incontrare anatre, oche o cigni di passaggio insieme a tante rane.
Sì, il Signore nella Sua infinita saggezza sa che senza bellezza non ci sarebbe amore!
Nostro dovere è custodire, proteggere tutto ciò che di bello Lui ci ha affidato e metterlo a disposizione per la fraternità, per l’amicizia, per la giustizia, restituendo Amore a chi ne è stato privato.
Spero vi sia piaciuto il nostro posto e se passate da queste parte venite a trovarci, vi aspettiamo volentieri.
Un saluto da Andrea e Pierpaolo.
Davide Crema, 28 anni, ex casco bianco ad Haiti, vive a Cervasca (CN) presso la casa famiglia San Martino, che è anche realtà agricola della comunità Papa Giovanni XXIII con la cooperativa “I tesori della terra
La ricchezza è il temporale che arriva perché so che porta beneficio alle nostre piante.
Io mi ricordo ad Haiti, quando stavano per arrivare i temporali, coi bambini uscivamo e ci prendevamo la pioggia perché portava freschezza e la natura il giorno dopo era esplosa nonostante io bagnassi le piante tutti i giorni, quel passo successivo lo faceva solo la pioggia.
Ricchezza inoltre per me è andare nei campi e vedere le coccinelle perché so che in quel caso stiamo lavorando con la natura e non contro natura perché le coccinelle mangiano i parassiti degli ortaggi.
Per me ricchezza è vedere le mucche che sono nel loro stato naturale nel pascolo perché stiamo riportando gli animali da dove vengono perché così facendo ricreiamo un ecosistema complessissimo che noi oggi riusciamo a malapena a descrivere, perché oltre a portare il beneficio di un latte di altissima qualità, sappiamo che ne trae beneficio il terreno, insetti, gli uccelli, ne possono trarre beneficio le galline se le mettiamo per esempio insieme al pascolo con le mucche.
Quindi in poche parole la ricchezza per me, ma non solo per me, è biodiversità a livello di natura e diversità a livello di essere umano. Alla fine noi cerchiamo sempre di settorializzare tutto quindi prendere gli animali e metterli in stalla, prendere i bambini metterli nell’asilo, gli anziani dentro le case di riposo. Invece se si riesce a creare dei sistemi dove queste parti riescono a collaborare tra di loro, io ne prendo beneficio ma so che anche l’altro ne trae beneficio, e la casa-famiglia credo sia una perfetta dimostrazione di questo concetto.
Quando mia sorella è tornata dal Perù mi ha spiegato che il nome “inca” veniva dato alla parte più ricca delle varie città e delle varie tribù. E chi erano i più ricchi? Erano coloro che possedevano più cibo.
Avevano delle tecniche di agricoltura all’avanguardia perché coltivavano su terrazzi di diversi livelli, avevano dei sistemi irrigui complessissimi. Poi siamo arrivati noi che con la nostra arroganza abbiamo eliminato tutto e cerchiamo sempre di imporre il nostro pensiero.
Ricchezza potrebbe anche significare questa apertura mentale che dovremmo avere un po’ tutti, per cercare di vedere le cose da tutti i punti di vista e non farci prendere da questo estremo egoismo.
Vieni a trovarci, non come turista ma come ospite! 😉
Gian Paolo Montano, 56 anni, sposato con Paola maggio dal 1987, membro della comunità Papa Giovanni XXIII dal 1993, papà della casa famiglia Santa Maria dell’annunciazione dal 1998.
In casa con noi attualmente ci sono: quattro figli naturali, una figlia disabile adottata, due figli disabili in affidamento, mio nonno di 98 anni.
“Il Pungiglione”: scelte, intuizioni e profezia.
“Io sono il Signore, il tuo Dio, che t’insegna per il tuo bene, che ti guida per la via che devi seguire. “(Is 48,17)
La storia della cooperativa “il Pungiglione”, dimostra quanto è vero questo versetto del profeta Isaia: il Signore ci conduce, noi non sappiamo dove ci vuole portare, fa sorgere le esigenze, crea le coincidenze, guida le nostre intuizioni e ci permette di camminare, passo dopo passo.
Il progetto nasce nel 1998 e si sviluppa in Lunigiana, lembo nord occidentale della Toscana, terra ricca di paesaggi naturali e in cui l’agricoltura intensiva e l’industria pesante non è approdata.
Le attività lavorative si impiantano su una piccola realtà di apicoltura già esistente a livello familiare e si sviluppano andando a produrre e offrire servizi a 360° nella filiera del miele. Nel 2000 si struttura come cooperativa ed entra a far parte del consorzio “Condividere apg23”, organo che raduna tutte le realtà lavorative nate in seno alla Comunità Papa Giovanni XXIII.
La scelta dell’apicoltura ben si integra nel territorio della Lunigiana in quanto essa è una terra vocata all’apicoltura. Ne è dimostrazione il fatto che il miele della Lunigiana è stato il primo miele ad ottenere la certificazione DOP in Italia.
Le api costituiscono un eccezionale indicatore dell’inquinamento e della vivibilità del luogo in cui vivono: se le api muoiono vuol dire che l’ambiente è stato maltrattato, abusato e sono state praticate azioni non più sostenibili. In questo tempo, in cui è diventato una priorità la difesa del creato, l’osservazione delle api ci spinge mettere in discussione i nostri comportamenti abituali e ci induce a ricercare nuovi stili di vita per vivere più sani in armonia con la natura.
“Il Pungiglione” nasce come realtà educante, prima ancora che produttiva, non per creare ricchezza economica, ma per accompagnare persone ferite nel loro percorso di vita. Il lavoro quando è sano diventa una strada educativa privilegiata: anche per questo motivo le scelte che si rendevano necessarie nel portare avanti il progetto dovevano mostrare attenzione verso politiche di gestione etiche, sostenibili e responsabili.
Alcuni esempi di queste scelte sono:
- Contribuire alla diminuzione dell’uso dei combustibili fossili per produrre energia e per ottenere acqua calda installando pannelli solari.
- Nel settore agricolo indirizzarsi verso la produzione di miele certificato biologico e DOP (di origine protetta).
- Nel laboratorio di lavorazione della cera si è dedicato una linea di produzione per il biologico con tecniche ed apparecchiature prime in questo settore.
- Nel settore della falegnameria sono stati abbandonati il più possibile componenti derivati dalla lavorazione di materiale di origine fossile. Inoltre il legname utilizzato è certificato FSC (gestione sostenibile delle foreste).
- La linea di invasettamento e commercializzazione del miele tratta nella quasi sua totalità prodotti di origine certificata biologico o DOP.
Il nostro operare secondo la vocazione impressa da don Oreste Benzi, fondatore della Comunità papa Giovanni XXIII, si è trovato molto in linea con il pensiero di papa Francesco espresso nell’enciclica “Laudato sì”. Ecco che nel capitolo intitolato: cura dell’ambiente e cura dei poveri, papa Francesco parla di “ecologia integrale” così specificata al n. 139: “Data l’ampiezza dei cambiamenti, non è più possibile trovare una risposta specifica e indipendente per ogni singola parte del problema. È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura.”
È così che la nostra vocazione di condividere la vita con gli ultimi, ci ha portati a dare ascolto al grido dei poveri che il Signore nel corso di questi anni ci fatto incontrare. Il primo grido ascoltato è di chi veniva dal carcere. Il nostro impegno è stato nel far uscire i carcerati dalle case di reclusione per accoglierli nelle nostre case e poi dare inizio all’esperienza del CEC (comunità educante per i carcerati). Poi è stata la volta del grido delle donne schiavizzate sulle strade del sesso. Intanto i servizi sociali di zona ci chiedevano di rispondere al bisogno di persone disagiate o disabili o malate psichicamente. Infine abbiamo accolto il grido dei migranti costretti a scappare dalle loro terre di origine per tentare di riprendersi ciò che gli era stato rubato. A tutte queste persone abbiamo tentato di dare ascolto cercando di individuare i loro bisogni, offrendo un tetto sicuro, un piatto di cibo, un avvio ad un lavoro onesto ed un cuore disponibile.
Tanto è stato fatto in questi anni sul fronte di creare un lavoro onesto e sostenibile, molto si deve ancora fare per rendere il lavoro libero e liberante. Purtroppo diverse scelte vengono ancora condizionate dal mercato globale: spesso la produzione che si è chiamati ad offrire dipende da leggi di domanda in un mercato cinico e perverso. Inoltre i servizi che dobbiamo offrire dipendono dal riconoscimento istituzionale, e spesso questi non coincidono con i bisogni reali delle persone.
Un altro indice discutibile che tanto ci condiziona è quello della crescita del fatturato: per il mercato un’economia è sana se si mantiene in continua crescita. Ma questo sistema presuppone un aumento continuo della produzione contando sull’aumento dei consumi, condizione sempre più insostenibile perché generante spreco e scarto.
Insieme ad altri enti ed associazioni, sempre tenendo l’orecchio teso all’ascolto del grido dei poveri e degli ultimi, abbiamo iniziato a fare rete per cercare di individuare nuove forme di economia più rispettose della Casa comune in cui abitiamo: la Terra. I tavoli sono diversi e portano il nome di: economia di condivisione, prophetic economy, gruppi Laudato sì, ….
Chissà che non arrivino nuove occasioni od intuizioni che ci portino a sperimentare nuovi stili di vita ed un nuovo modo di trovare sostentamento dal nostro lavoro?
Lo intravedo come via di speranza per tanti giovani in ricerca!
Laila Simoncelli classe ’68, avvocato, collabora con la APG23 in materia di tratta degli esseri umani,diritto internazionale e dell’immigrazione.Negli anni ’90 impegnata in Ex Jugoslavia al fianco delle vittime del conflitto dei Balcani. Missionaria in India e Africa per un decennio a favore della tutela internazionale delle donne e dell’infanzia. Attualmente esercita la professione forense con particolare impegno a favore dei migranti e per la tutela dei diritti umani.
La guerra che orienta le risorse all’acquisto di armi e allo sforzo militare, distogliendole dalle funzioni vitali di una società, quali il sostegno alle famiglie, alla sanità e all’istruzione, è contraria alla ragione, secondo l’insegnamento di san Giovanni XXIII. Essa è una follia, perché è folle distruggere case, ponti, fabbriche, ospedali, uccidere persone e annientare risorse anziché costruire relazioni umane ed economiche. E’ una pazzia alla quale non ci possiamo rassegnare mai“. Così Papa Francesco, ha definito la guerra.
Non è la prima volta che il Santo Padre parla della piaga della guerra che affligge diversi stati. Nel 2014, nel corso della celebrazione eucaristica nel Sacrario Militare di Redipuglia, Papa Francesco ha osservato che mentre il Signore “porta avanti la sua creazione e noi uomini siamo chiamati a collaborare alla sua opera”, la guerra “distrugge anche ciò che Dio ha creato di più bello: l’essere umano”. Il vescovo di Roma, ha sottolineato che “la guerra non guarda in faccia a nessuno: vecchi, bambini, mamme e papà. Anche oggi – ha affermato – dopo il secondo fallimento di un’altra guerra mondiale, forse si può parlare di una terza guerra mondiale combattuta ‘a pezzi’, con crimini, massacri, distruzioni”.
Parole che suonano attuali ancora oggi, in un mondo flagellato da sanguinosi conflitti. Secondo uno studio del Norwegian Refugee Council, pubblicato a giugno 2019, il numero di guerre che flagellano la Terra, è tristemente alto. Dallo studio emerge che la maggior parte di queste situazioni critiche è dimenticata dal mondo occidentale.
“Gli uomini hanno sempre organizzato la guerra. E’ arrivata l’ora di organizzare la pace“, scriveva nel 2001 don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, in una lettera al Presidente del Consiglio nella quale chiedeva l’istituzione di un Ministero della Pace. L’Apg23 porta avanti una campagna di sensibilizzazione per chiedere “una cabina di regia istituzionale per dar vita a un nuovo sistema per la promozione della pace”. In occasione della Giornata Internazionale del Multilateralismo e della Diplomazia per la Pace, istituita dalle Nazioni Unite con la risoluzione del 12 dicembre 2018 (documento A/73/L43),
Le stime dell’Osservatorio Milex degli ultimi due anni ci parlano di una spesa militare di circa 25 miliardi di euro nel 2019, (cioè 1,40% rispetto al PIL) e di oltre 26 miliardi di euro previsti per il 2020 (cioè l’1,43% rispetto al PIL), quindi quasi ai massimi dell’ultimo decennio. Tutti questi fondi servono a finanziare e ad investire in caccia F35, un solo acquisto vale 15 miliardi, le fregate, le portaerei, elicotteri, missili, senza parlare dei 7 miliardi svincolati dal MISE e Difesa per i mezzi blindati e per produzione militare aggiudicata a Leonardo. Sono numeri impressionanti se si pensa che invece nell’ultimo decennio secondo i dati dell’Osservatorio GIMBE sul Servizio Sanitario Nazionale sono stati soppressi oltre 43.000 posti di lavoro e un definanziamento complessivo di 37 miliardi e una perdita di posti letto per abitante superiore a quella della media europea. E’ sempre doloroso soprattutto di questi tempi pensare al perché continui ad esistere di tutta questa economia di morte.
E’ evidente che la diffusione del COVID-19 ha aggravato le criticità di tutte le regioni già colpite dalle guerre e dalle crisi umanitarie di più vaste dimensioni, specialmente in Africa. Nella regione del Sahel, in Africa occidentale, il conflitto armato e gli attacchi ai danni dei civili hanno costretto alla fuga quasi 3 milioni di persone, di cui quasi un milione a partire da gennaio 2019, e oltre 5 milioni di persone ora devono sopravvivere con ridotte scorte alimentari. La pandemia ha portato alla chiusura delle frontiere e incrementato ulteriormente la pressione su sistemi sanitari fragili ed economie deboli. Le restrizioni dovute alla pandemia potrebbero spingere quanti necessitano di protezione internazionale a tentare soluzioni ancor più rischiose e pericolose pur di varcare le frontiere, mentre dall’altra parte abbiamo un’Europa che si chiude a riccio e sbarra i porti del Mediterraneo. Solo dal 5 all’11 aprile, sono quasi 1000 le persone che sono state segnalate in mare. Fra loro centinaia di minori, donne incinte e ancora tanti naufragi e morti. Inutile dire che l’epidemia di COVID-19 non può giustificare la sospensione degli obblighi degli Stati in materia di salvataggio in mare, né si può tollerare che ci siano vite di serie A e di serie B da salvare.
Che cos’è il Ministero della Pace, la cui creazione è promossa dall’Apg23?
E’ una nuova istituzione, un nuovo assetto nell’organizzazione ministeriale per una nuova ‘era’ che finalmente dia espressione a tutti questi spazi costituzionali ancora inattuati, si pensi al ripudio della guerra di cui all’art.11 Cost, alla Difesa nonviolenta e non armata della Patria (art.52 Cost) ad un nuovo concetto di Difesa come Protezione emancipata dal cappio militare. Un nuovo paradigma di sicurezza e solidarietà universale e che dia finalmente Casa e Dignità ai costruttori di Pace, realizzando così l’obiettivo 16 dell’agenda 2030 per lo sviluppo umano sostenibile. Il Ministero della Pace offrirebbe una nuova architettura organizzativo-istituzionale per la pace, garantirebbe un dialogo illuminato per elevare, articolare, indagare e facilitare soluzioni strategiche non violente ai conflitti interni e internazionali. Se a livello nazionale rari sono gli studi giuridici che indagano questa ‘nuova visione amministrativa ed organizzativa’, la Campagna dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII ‘Il Ministero della Pace-Una Scelta di Governo‘, che tra l’altro vede tra i partners Il Centro di Ateneo per i Diritti Umani ‘Antonio Papisca’, e la rispettiva Call Internazionale ‘Calling for Ministries of Peace all around the World A move forward in the implementation of the right to peace‘ sono una chiamata al futuro”.
Tutte le nazioni un impegno grande se lo sono già preso da tempo sin dal 1945 e dal 1948 con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani a protezione degli uomini e della nostra casa comune la Terra. Basterebbe che rispettassero con le azioni quegli impegni; iniziassero a disarmarsi a riconvertire l’industria bellica, ridurre le spese militari, a interrompere subito le emissioni di Co2 nel pianeta, a condividere i beni degli Stati più ricchi con quelli più poveri che soffrono fame, carestie e conflitti rendendo concreta e fattiva la solidarietà internazionale.
La pace si costruisce con i fatti, rifiutando l’odio e la violenza aprendoci ad una solidarietà e fratellanza universale operosa, creativa, che purtroppo non può alimentarsi e trovare spazio, in anime e cuori, comunità popoli e nazioni che guardano solo a sé stessi e ai propri interessi. La pace cresce quando non dimentichiamo che la vita e la dignità di ogni un uomo sono un dono infinito che siamo invitati a condividerla in questa casa comune di cui ci dobbiamo prendere cura, a partire dalla nostra quotidianità e dalla persona più prossima a noi.
Sheik Abdo è portavoce della “Proposta di pace”. Viene dal sud della Siria, nelle vicinanze di Homs, dove ha lavorato inizialmente come maestro elementare. Con lo scoppiare delle manifestazioni contro il regime di Bashar Al-Asad, nel marzo 2011, istituisce una clinica per il trattamento dei feriti nelle manifestazioni civili di protesta, impossibilitati a ricevere cure da parte del sistema sanitario istituzionale. Nell’agosto del 2011 scopre di essere ricercato dalle forze governative siriane e insieme alla moglie, lascia la Siria e si reca nel nord del Libano dove nel 2012 apre una clinica gratuita per curare i siriani malati e feriti ad Akkar. Le autorità libanesi dopo alcuni mesi hanno richiesto la chiusura della piccola clinica informale e lo hanno incarcerato. Dal 2018 è in Italia grazie a un corridoio umanitario.
Operazione Colomba è una delle tante forme che ha la Comunità Papa Giovanni XXIII di mettersi al fianco di chi è povero, emarginato, di chi ha subito violenza, nello specifico di chi è vittima della guerra.
La presenza al fianco dei profughi in Libano è nata non tanto con l’intenzione di fare qualcosa, ma con una modalità di pensare al contrario: andare a vivere con le persone senza avere nessuna idea preconcetta in testa. “Siamo andati in alcuni campi profughi nel Nord del paese, nella zona più povera e meno sottoposta a pressioni di gruppi militari come Hezbollah – racconta Alberto Capannini, referente dell’equipe Libano-Proposta di Pace -. Nell’ascolto dei profughi è venuto fuori un bisogno di sicurezza. In Libano i siriani non hanno documenti né lavoro, i bimbi e ragazzi non possono andare a scuola, l’accesso alla sanità è quasi impossibile. Come italiani potevamo dar loro una mano in queste cose e in più potevamo proteggerli, accompagnandoli ai checkpoint, evitandone gli arresti.
La nostra risposta di si potrebbe dividere in tre parti: sull’oggi sul domani e sul dopodomani. Ascoltare oggi vuol dire vivere nel campo con loro. Ascoltare domani può significare aiutarli ad avere delle cure mediche, andare a scuola, portarli in Italia… Pensare al dopodomani è una prospettiva più lunga. Se cammino per strada e do l’elemosina a qualcuno rispondo al bisogno di questo istante, è il prezzo che pago perché esca dalla mia vita. Se penso al domani lo informo che può trovare aiuto in Caritas o in Papa Giovanni. Se penso al dopodomani gli chiedo che storia ha, da dove viene, cosa faceva nel suo paese e come posso dargli una mano. E’ una prospettiva molto diversa. Uno è l’ascolto frettoloso, l’altro invece di qualcuno che ti vuol bene.
La proposta di Pace è questa terza prospettiva, provare ad accogliere il bisogno più profondo… dargli una mano per tornare a casa loro, in Siria. E’ l’attenzione rispetto a quello che queste persone ci chiedono, nel profondo. Perché non sono persone che ci scocciano, sono persone che invece vengono a darci una prospettiva che non avevamo. Mi interessa la guerra in Siria solamente se sono legato a queste persone… altrimenti perché proprio la guerra in Siria e non in Yemen o Sudan o qualsiasi altra guerra?”
Abdel Rahim Hysan, “Sheik Abdo” è il portavoce della Proposta di Pace. Nel 2012 arriva in Libano come rifugiato e diventa volontario dell’Unhcr (L’agenzia Onu per la protezione dei rifugiati ndr). In Siria era un insegnante e attivista nonviolento. Gli abbiamo chiesto di raccontarci come nasce e cos’è la Proposta.
“Nel 2014 succede una cosa molto grave: nonostante fossi sotto protezione Onu vengo incarcerato. Quando esco dal carcere capisco che manipolazione grande ci sia dietro la sofferenza dei rifugiati. Hezbollah in Libano ha insediato un Unhcr fatta di spionaggio e disonestà, e il desiderio di giustizia dei rifugiati viene tradito e strumentalizzato. Basti pensare che quando un rifugiato viene messo in carcere Unhcr paga per liberarlo… è un sistema malato in cui l’Onu da dei soldi e il governo per prenderli arresta le persone con qualsiasi accusa.
Non esisteva nessuna vera tutela per i rifugiati neppure a livello internazionale. Mi convinco che che ci vuole una “madre” per i rifugiati, qualcuno che se ne prenda cura.
Così nasce la Proposta di Pace. Senza soldi, dunque senza nessuna possibilità di sfruttarla per farsi lo stipendio, e attraverso l’ascolto delle persone sul campo, dei rifugiati veri
Spesso l’attivismo in Siria è da privilegiati, chi ha un certo stile di vita, un certo ceto ‘cittadino’ crea associazioni beneficiarie di aiuti umanitari, persone che vengono dalle città e mai dalle periferie…
Il Libano è piccolo e ci sono tantissimi profughi, ma ci sono anche tantissime organizzazioni e fondi internazionali… allora perché ci manca tutto? Perché non riusciamo ad avere una vita dignitosa e nessuno ci ascolta? Dove sono tutti gli aiuti che arrivano? Come dare voce davvero ai siriani?
Operazione Colomba è stata la risposta a ciò che chiedevamo. Degli europei che vivevano in un campo profughi e bevevano e mangiavano quello che mangiano i profughi… era impensabile che dei bianchi, degli italiani, potessero vivere come viviamo noi, addirittura i nostri stessi attivisti e filantropi siriani non lo farebbero mai… Operazione Colomba lo fa!!! Per me è stata una rivoluzione. Potevano dare delle lezioni su quali siano i problemi dei profughi, ci sono entrati dentro e sono diventati i loro problemi…loro conoscevano tutti i programmi degli aiuti e anche di cose che nessuno di noi sapeva… noi non sapevamo come accedere ad alcuni aiuti, con loro siamo riusciti ad affrontare delle emergenze. Grazie alla Colomba abbiamo portato la voce dei veri profughi anche dentro le associazioni e le organizzazioni internazionali.
Il fatto che la Colomba non desse i soldi al governo per essere lì ci ha rassicurati, nessuno poteva corromperli. E poi loro hanno capito il bisogno di libertà dei siriani perché è il loro stesso bisogno di libertà.
La proposta di pace, nasce così, in modo molto semplice… dall’agenda che avevano le Colombe per i profughi: ho bisogno di cibo, di documenti di sangue per trasfusioni, di scuola, di curare i figli di ritrovare gli scomparsi, di raccontarti la mia storia. La proposta di pace nasce ascoltando questi bisogni. Ho bisogno di tornare a casa mia, ho bisogno di essere libero e quindi ho bisogno di una zona umanitaria sicura… Operazione Colomba ascolta la voce di chi ha bisogno e la fa diventare più forte e ascoltata. Ma non solo: insieme alla Colomba abbiamo imparato a sognare e la proposta non è solo nostra ma di tutti. Quando ci si siede ai tavoli c’è sempre una politica di contrapposizione e lo scopo è tenere il paese diviso, in modo da potere stare sotto una dittatura. Per questo la PDP è rivoluzionaria ed è l’unica via: non chiede di indentificarsi nell’una o nell’altra parte, non parteggia ma chiede libertà per tutti”.
La Proposta di Pace è aperta a ogni contributo, e chiede il ritorno in Siria in zone umanitarie sicure e nonviolente dove non possano entrare eserciti e gruppi armati.
Sostenerla vuol dire, in concreto, poter fare diverse cose. Come gesto vero e educativo è una proposta incompleta: richiede che le persone si coinvolgano perché è enorme. Non c’è una forma preordinata di coinvolgimento. Le Associazioni possono aderire e diffonderla, ai privati possono incontrare i profughi, accoglierli in Italia, fare un viaggio in Libano quando sarà possibile, fare pressioni sui governi e a livello internazionale. Operazione Colomba sta mettendo in rete esperienze di nonviolenza nel mondo (Siria, Colombia, Palestina)
E’ una proposta che chiede l’anima più che il portafoglio. Dietro la guerra c’è una forza organizzata che pesca negli istinti più bassi, nella paura, nella chiusura. Qui c’è una forza rinnovatrice nuova e viva. Quella di Gesù, di Gandhi, di Martin Luther King.
“Noi siamo parte di un mondo, non di uno stato e basta – conclude Sheik -. Se ci fosse un solo paese in guerra in tutto il mondo sarebbe il mondo intero a non stare in pace. La guerra è una enorme ingiustizia. L’Europa chiude le frontiere ma non va alla fondo del problema: eliminare la guerra. La Pace è un dovere di tutti. Un domani se potrò tornare in Siria e ci sarà una guerra nel mondo io andrò e dirò ai miei figli di andare, come testimoni di Pace, come Colombe”